YONAGUNI UN MISTERO SCOMODO

YONAGUNI UN MISTERO SCOMODO. ROVINE E PIRAMIDE SOMMERSA A YONAGUNI (Mar Della Cina) Le rovine e la piramide sommersa a Yonaguni, posti al largo del Mar della Cina, nello stretto che collega il Giappone a Formosa e sommersi a 25 metri sotto il livello del mare, rappresentano per gli scopritori la testimonianza di una civiltà vissuta oltre 10.000 anni fa. Sempre più ci si accorge che i miti, le antiche tradizioni popolari, finanche le chiacchiere di anziani marinai, hanno solide basi su cui poggiare il loro contorno a volte fiabesco, a volte fantastico, con cui affascinano da sempre chi presta loro attenzione.

YONAGUNI UN MISTERO SCOMODO YONAGUNI-GIAPPONE 2

LA STORIA DI YONAGUNI:
Ed è a una di queste leggende che il professor Wen Miin Tian del Dipartimento di Sviluppo e Ingegneria Marina, della National Sun Yatsen University di Kaohsiung City, Taiwan, ha dato ascolto. In questi ultimi anni si è dedicato interamente a ricostruire, nel limite del possibile, quello che i pescatori del posto si tramandano da generazioni nei loro racconti durante le battute di pesca.
In questi porticcioli dell’arcipelago di Pen-hu (pronuncia “Pengu”), proprio di fronte a Taiwan, la “Rocca”, i pescatori raccontano di strutture sommerse simili a templi, di un grande castello con vaste mura di colore rosso. Parlano tra loro di come una rete impigliata e il successivo immergersi per liberarla abbia mostrato loro resti di colonne e di strutture somiglianti a templi.
Il professor Wen Miin Tian ha voluto approfondire tali “voci di popolo”, accorgendosi ben presto che il mormorio era sostenuto anche dalla mitologia locale. Si parla di antiche vestigia sommerse in acque relativamente profonde. Ma esistevano davvero? E se sì, da quanto tempo erano sepolte dal mare? Chi le aveva erette? Molti gli interrogativi che attanagliavano la mente di Wen.
Posti al largo del Mar della Cina, nello stretto che collega il Giappone a Formosa e sommersi a 25 metri sotto il livello del mare, rappresentano per gli scopritori la testimonianza di una civiltà vissuta oltre 10.000 anni fa.

Le costruzioni, di enormi dimensioni di Yonaguni, hanno suscitato eccitazione e sgomento nella comunità archeologica internazionale. Le caratteristiche architettoniche di quella che può essere considerata una colossale struttura, di grandezza paragonabile a quella della piramide di Cheope, sono accostabili alle costruzioni mesopotamiche chiamate Ziggurat, piramidi a gradoni, tipiche dell’area medio­orientale. Non possono quindi essere associate a niente che abbia a che fare con le culture nipponica e cinese a noi note. In precedenza nessuno aveva fatto caso alla presenza di queste costruzioni ed il professar Kimura è stato il primo ad aver capito che la struttura non era opera della natura, bensì dell’uomo. Inoltre, nella stessa zona, ritrovamenti di altre costruzioni si sono aggiunti alla scoperta principale, a conferma che, sommerso a poche decine di metri sotto la superficie marina, un intero complesso architettonico era in attesa di essere scoperto e fornire una nuova chiave di lettura alla storia della civiltà orientale e mondiale. Al sito sottomarino si sono interessati anche il geologo Robert Schoch e l’egittologo John Antony West, sostenitori dell’esistenza di Atlantide e consulenti per gli approfonditi studi di Robert Bauval e Graham Hancock, che hanno considerato la struttura opera della natura. Ma Kimura ha replicato a queste affermazioni. “Se i gradoni DI Yonaguni  fossero il risultato dell’erosione causata dalle correnti marine ­ ha dichiarato Kimura ­ lo stesso fenomeno sarebbe leggibile anche sulle rocce circostanti. La scoperta di ciò che sembra essere una strada che cinge l’intero complesso, conferma che è solo opera dell’uomo”. Dopo che le immagini del luogo sono state divulgate, Schoch e West hanno dovuto ammettere il loro errore.

 YONAGUNI UN MISTERO SCOMODO PIRAMIDE SOMMERSA ISOLA DI YONAGUNI 1997UNA PIRAMIDE DI 10.000 ANNI FA A YONAGUNI
Una certa agitazione regna fra gli studiosi giapponesi, in quanto le analisi e gli studi sembrano confermare che il complesso sottomarino di Ryukyu ha strette relazioni con le rovine precolombiane ed egiziane.
Forse si trattava di un sito religioso e cerimoniale che non ha corrispondenze con nessun’altra architettura sacra dell’estremo Oriente e che si lega invece a siti archeologici presenti in altre parti del mondo. In particolare, l’intero complesso sottomarino come progetto architettonico è sorprendentemente simile alla città Inca di Pachacamac in Perù. Il professar Kimura si dichiara convinto che il tutto è opera di un popolo molto intelligente “con un alto grado di conoscenza tecnologica e di cui finora non avevamo nessuna traccia”. Anche l’età stimata del complesso lascia perplessi: Teruaku Ishi, docente di geologia all’Università di Tokio, sostiene che la Piramide sommersa potrebbe risalire almeno all’ottomila a.C. Altri studiosi la retrodatano addirittura al 12.000 a.C.: come dire, più antica delle piramidi d’Egitto. La corrispondenza architettonica tra le strutture sommerse di Okinawa e i templi egiziani, mesopotamici e mesoamericani pone sul tavolo le argomentazioni che gli studiosi di paleoastronautica hanno sino ad oggi avanzato e che molti archeologi solo ora iniziano a prendere in considerazione: vale a dire la presenza di una civiltà planetaria molto evoluta, antecedente il diluvio, Atlantide o la leggendaria Mu, (oppure ciò che i giapponesi chiamano la mitica Onogorojima) della cui cultura pre­diluviana si trovano tracce nei monumenti megalitici sparsi un po’ ovunque nel mondo. Il fatto che la Piramide di Ryukyu sia posta sotto il livello delle acque è un indizio consistente del fatto che la civiltà che la eresse scomparve con il diluvio.

YONAGUNI INGEGNERIA ANTIDILUVIANA
Una civiltà che in un lontano passato dovette esercitare una grossa influenza su tutto il globo terracqueo.
Non sono altrimenti spiegabili le notevoli analogie tra le costruzioni peruviane e boliviane e quelle giapponesi. Non è noto a molti infatti che anche in Giappone sono state ritrovate piramidi a facce levigate. Il 19 ottobre 1996 una spedizione archeologica ha scoperto nel nord del Giappone, nell’isola di Honsu, in località Hang sul monte Kasagi, una piccola piramide monolitica e simmetrica, versione in miniatura della piramide di Cheope. Formata da un unico blocco granitico, misura 4,70 metri di base per 2,20 di altezza e rappresenta un elemento architettonico del tutto sconosciuto in Giappone; sino ad oggi almeno. La piccola piramide giapponese non è la sola struttura apparentemente inconsistente con la classica architettura del Sol Levante. Molti dei lettori conosceranno le costruzioni peruviane della città di Cuzco con il suo Curichanca, il recinto d’oro, e la vicina Sacsayhuaman ancora caratterizzata da lunghe file murarie. L’ingegneria inca era contraddistinta dalla capacità di saper assemblare blocchi monolitici e giganteschi con una tecnica ad incastro che non ha corrispettivi validi in epoca moderna. Queste costruzioni hanno vinto la sfida del tempo, superando anche forti eventi sismici, pur essendo costruite senza alcun cementificante. Il segno di una tecnica superiore ancora oggi enigmatica. Il sistema ad incastro non è solo prerogativa del centro­sud America. Le piramidi e i templi egiziani, la piattaforma del tempio di Baalbek in Libano, le fondamenta del tempio di Gerusalemme, oggi visitabili dalla parte cristiana della città sacra presentano la stesse caratteristiche, da molti ricercatori addebitabili ad una cultura antecedente il diluvio, in un periodo compreso tra il 10.000 e il 15.000 a.C. Peculiarità incredibilmente presenti nelle mura di cinta del palazzo imperiale di Tokio, anch’esse formate da blocchi monolitici perfettamente incastrati l’uno nell’altro, come per le costruzioni inca e caratterizzate dalla medesima tecnica ingegneristica. Tra i resti del palazzo è stata inoltre trovata una piccola porta, versione in scala ridotta della Porta del Sole di Tiahuanaco in Bolivia, e come quest’ultima sovrastata da un idolo il cui originale è stato distrutto dai bulldozer durante gli scavi. È una statua, per stile, assimilabile agli idoli a tutto tondo peruviani. Il sistema con cui è assemblata la porta, caratterizzato da tre blocchi monolitici, sembra collegarla ai Dolmen europei e soprattutto ai Triliti che formano l’intero complesso di Stonehenge.
YONAGUNI UN MISTERO SCOMODO PIRAMIDE SOMMERSA ISOLA DI INANAGUNI 1997 FIG.7
I MENHIR DI NABEYAMA – YONAGUNI
Se, infatti, le recenti scoperte archeologiche hanno rivelato incredibili corrispondenze con monumenti americani, medio­orientali ed egiziani, colpisce il fatto che anche l’architettura bretone e celtica, trovi i suoi corrispettivi in Giappone. Nella foresta di Nabeyama sono stati rinvenuti, sempre nel 1996, due Menhir affiancati, elementi del tutto sconosciuti alla cultura giapponese. Si è appurato che i megaliti dell’antica cultura neolitica europea e bretone in particolare avevano lo scopo di segnalare, come un vero calendario, i principali eventi astronomici, dalle eclissi ai solstizi, e su questi le popolazioni scandivano il loro ritmo di vita. Gli studiosi di paleoastronautica sapranno che il tempio megalitico bretone di Stonehenge ha un’origine ancora oscura e la sua data di costruzione viene continuamente anticipata. Anche in Egitto è stata scoperta, proprio quest’anno, una struttura simile, risalente al 7000 a.C., formata da monoliti di 3.6 metri di diametro e oltre 2 metri d’altezza disposti in circolo e perfettamente allineata nord­sud, est­ovest e con il solstizio d’estate. Il fatto che queste costruzioni siano presenti in luoghi così distanti e in tre continenti differenti, Asia, Europa ed Africa, riconduce alle stesse ipotesi formulate per le costruzioni piramidali nipponiche. Una cultura sviluppata ha agito da impronta a livello planetario in un lontano passato, per poi sparire improvvisamente.

YONAGUNI – LA RADICE COMUNE
Se queste costruzioni si trovassero in Perù o in Bretagna, nessuno avrebbe dubbi sulla loro origine. Che significato dare a queste perfette corrispondenze? La risposta deve per forza di cose considerare che America, Asia ed Europa furono in un lontano passato legate da una cultura estremamente evoluta. La presenza in terra giapponese di questo tipo di architettura conferma che Atlantide deve essere realmente esistita e che essa estese il suo dominio anche in Estremo Oriente o quanto meno influenzò con la sua conoscenza le popolazioni vicine. È un dato di fatto che sta emergendo con forza grazie alle nuove scoperte, molto più di quanto ancora gli archeologi siano pronti ad ammettere. Come si spiegherebbe altrimenti l’esistenza in Giappone di elementi estranei alla cultura estremo orientale, ma perfettamente inseribili in contesti culturali così lontani quali quelli precolombiani, medio­orientali ed europei? Se il Giappone nella sua storia conosciuta mai venne a contatto con queste popolazioni, dove va cercata la radice comune? Probabilmente in una realtà cancellata dalle acque devastatrici di una catastrofe di 10.000 anni fa, che solo ora sta restituendoci un’antica memoria storica sepolta nel buio dei secoli.

YONAGUNI – LA LEMURIA DI FRANCIS DRAKE
Che il Giappone facesse parte, migliaia di anni fa, di un antico impero scomparso, era già stato ipotizzato nel 1968 da W. Raymond Drake nel suo libro Spacemen in the Ancient East, in cui il Sol Levante viene inserito all’interno dei continente di Lemuria. Drake scrive che i primi coloni del Giappone erano uomini di razza bianca, custodi della conoscenza lemuriana. La bandiera del Sole nascente, simbolo dei Giappone, rappresenterebbe ancora il sacro simbolo di Lemuria. “Come gli lndù, i Cinesi e gli Egiziani, i Giapponesi hanno avuto ben dodici dinastie di imperatori divini ­ afferma Drake ­ che hanno regnato per 18.000 anni, suggerendo una dominazione di origine cosmica. Gli etnologi concordano sul fatto che i primi antenati dei Giapponesi erano uomini bianchi che soggiogarono gli autoctoni Ainu, oggi quasi del tutto scomparsi, iniziando così la stirpe Yamato. Analisi linguistiche suggeriscono che la lingua giapponese ha affinità con il babilonese”. Ciò conferma che non sono i soli monumenti a fornire le tracce di una radice culturale comune di epoca antidiluviana tra le popolazioni dell’antichità.
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INTERVISTA AL PROFESSOR WEN
Il professor Wen e il dottor Shieh, restano però della loro opinione. A loro parere non ci sono dubbi: trattasi di strutture artificiali, costruite dall’uomo in epoca preistorica e “pre-diluviana”. La notizia della scoperta di queste mura era stata da noi presentata nel numero scorso (HERA n° 37 pag. 49). Il loro ipotetico collegamento con le altre strutture sommerse tra Taiwan e Giappone andava approfondito attraverso un colloquio diretto con gli autori della scoperta. Non è stato facile riuscire a mettersi in contatto con il professor Wen Tian e Steve Shieh. Quella che segue, è l’intervista realizzata con l’aiuto del sig. Hou Chu-wang, autore dell’efficace traduzione delle nostre conversazioni dal cinese, a cui va tutto il nostro ringraziamento.

Francesco Garufi: Ci racconti dove e come è avvenuta questa scoperta …

Wen Miin-Tian: “Il sito si trova in posizione 23° 16’ Nord, 119° 37’ Est, ed è situato tra due piccole isole, Dong-Jyu e Shi-Hyi-Yu, nell’arcipelago di Pen-hu. Questa ricerca subacquea è iniziata diversi anni fa, ma solo durante la fine del mese di agosto del 2002 siamo incappati in questo formidabile ritrovamento. Ciò è stato reso possibile grazie alle nostre apparecchiature tecnologiche che comprendono anche un sonar a scansione laterale. È stato proprio questo strumento che ci ha fornito l’immagine di una strana struttura sottomarina a una profondità di 28 metri. È stata una grande sorpresa che ha creato in noi una smisurata eccitazione. Chiaramente ci siamo immersi subito; dovevamo verificare immediatamente il tipo di struttura segnalata dal sonar”.

F.G.: Può spiegarci come mai il sito si trova nelle profondità marine?
W.M.T.: “La ragione per cui si trova sott’acqua è ancora un mistero. Ci sono alcune possibilità. Come saprà, successivamente all’ultimo periodo glaciale, circa 11.000-12.000 anni fa, il livello del mare si è sollevato di 100-120 metri. La profondità a cui si trova il “muro” è di 30 metri, per cui noi pensiamo che a quel tempo questo sito si trovava fuori dall’acqua. Possono però esserci anche altre ragioni di carattere geologico e di carattere vulcanico. Noi propendiamo comunque per la prima tesi. Il sito era, semplicemente, fuori dall’acqua 10.000-11.000 anni fa”.
F.G.: È naturale, a questo punto, chiederLe come è possibile datare con certezza la struttura, anche in considerazione degli altri fattori che ha esposto?
W.M.T.: “È necessaria una precisazione. Il muro da noi scoperto è costituito da materiale naturale. Tuttavia, ci sono numerose evidenze che quello che vi è stato costruito sopra sia opera umana. Per essere più chiari, ciò che riteniamo di fattura umana si trova inglobato nella struttura naturale che è alla base. Una vera e propria commistione di materiali”. (è quello che anche il prof. Maasaki Kimura ha affermato per Yonaguni, una struttura naturale modificata dall’uomo, N.d.R.).
F.G.: Di quale materiale è composto quello che definite un muro?
W.M.T.: “La composizione è di basalto, come peraltro lo sono gran parte delle isole di questa zona”.
F.G.: Quindi, un’ulteriore dimostrazione della veridicità della Sua teoria …

W.M.T.: “Certamente. Il basalto è una roccia vulcanica effusiva, generata, cioè, dal raffreddamento all’aria della lava. È facilmente riconoscibile. Come può osservare dalle fotografie, è la parte superiore che è stata aggiunta dall’uomo”.

F.G.: Secondo Lei, dott. Wen, a quale scopo venne eretto questo muro? Era un muro di difesa o parte di un centro urbano?
W.M.T.: “Non siamo assolutamente sicuri di che cosa potesse far parte questo muro. Abbiamo ancora pochi dati in nostro possesso. Quel che è certo è che il muro in questione era un ottimo riparo contro il vento!”.
F.G.: Contro il vento? Può spiegarci meglio cosa intende?
W.M.T.: “Certo, il muro è stato costruito inserendo materiale all’interno delle piccole cavità presenti tra un masso e un altro, così da impedire che il vento potesse insinuarsi all’interno della struttura”.
F.G.: I comunicati stampa parlano di leggende legate a un castello sommerso. Dalle immagini si può parlare di recinto. Lei, dottor Wen Miin Tian, crede che il castello sia da qualche altra parte o si tratta solamente di una leggenda?
W.M.T.: “L’esistenza di queste mura è oramai provata. Il sonar a scansione laterale ha rilevato altre interessanti strutture che suggeriscono un certo grado di intervento umano nella loro realizzazione. Abbiamo potuto individuare una sorta di piattaforma, sormontata da regolari blocchi di pietra. Le informazioni che però abbiamo al riguardo, sono limitate. Per mancanza di fondi, che non sono al momento ancora stati stanziati, abbiamo dovuto interrompere le nostre ricerche. Per quanto concerne la leggenda di una città sommersa in questi luoghi, ebbene, è il fulcro della mia ricerca da oramai tre anni!”.

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F.G.: Quindi, esistono leggende legate a questi luoghi. E come tutti i miti, sono stati presi in scarsa considerazione. Lei, dottor Wen, crede alle leggende?

W.M.T.: “Non sarei qui a parlarne con Lei, se non vi dessi credito. E con me, ci crede anche il dottor Shieh. Steve è un serio professionista dell’indagine sottomarina. È molto attivo nel campo della ricerca archeologica subacquea e proprio per la sua grande professionalità ho voluto che partecipasse alla spedizione. La sua esperienza ci è stata di grande aiuto. I pescatori del luogo e le antiche tradizioni taiwanesi, raccontano di muri e case sepolti sott’acqua nei pressi di questo sito. Ma io credo di non aver ancora scoperto quello che, in realtà, mi aspetto di trovare”.

F.G.: Vi sono altre rovine sommerse che possono essere messe in relazione con il muro da voi scoperto?

W.M.T.: “In questo sito, abbiamo trovato altre tre muraglie e alcuni ‘oggetti’ a una profondità compresa tra i 28 e i 30 metri. Come le dicevo però, non abbiamo ancora avuto la possibilità di proseguire le nostre ricerche”.

F.G.: Ci sono nella zona costiera tracce collegabili al muro, relative a strutture preistoriche o megalitiche?

W.M.T.: “Sull’isola di Taiwan ci sono molte rovine preistoriche che sono state scoperte anche di recente. L’esistenza di attività umane preistoriche con relativi oggetti sono del resto ben confermate nel resto delle isole. Per quanto riguarda le strutture sommerse, le leggende parlano di due punti in particolare. Nelle vicinanze della costa est di Taiwan, si troverebbero una struttura simile a una piattaforma e una vera e propria strada. Saranno questi i nostri obbiettivi della prossima campagna di immersione che svolgeremo la prossima estate”.
F.G.: Qual è l’importanza di questa scoperta nella preistoria di Taiwan?
W.M.T.: “Spero che queste scoperte servano a stimolare altre attività archeologiche subacquee. Penso che questi nostri mari siano ‘pieni’ di reperti che aspettano un visitatore. L’archeologia subacquea è in profonda crescita. Servono ‘solamente’ i fondi necessari”.
F.G.: A quale cultura possono essere messe in relazione? Qual è la cultura più antica di Taiwan?

W.M.T.: “Al momento posso solo dire che ci sono chiare prove su terraferma di strutture che risalgono a più di 10.000 anni fa”.

F.G.: Sono stati trovati oggetti di uso comune o iscrizioni in zona?
W.M.T.: “Non ancora. Abbiamo trovato alcune rocce a forma di uovo all’interno della parete. Al momento ne stiamo studiando la composizione”.
F.G.: Tutta la zona compresa tra Giappone, Cina e Taiwan, secondo i geologi giapponesi, è ricca di vestigia megalitiche antichissime. Esiste a suo parere una correlazione tra la fortezza sommersa di Yonaguni (Giappone), le strutture di Kerama (Giappone) e il muro di Taiwan?

W.M.T.: “Ci sono buone probabilità che lo siano. Certamente, abbiamo bisogno di completare le varie ricerche in atto. È presto per giungere a una conclusione, per cui è meglio essere cauti. Molti miei colleghi non sono della nostra opinione. Credo che per farsi un’idea delle strutture sommerse non basti osservare una foto. Bisogna entrarci in contatto, bisogna toccarle con mano!”.

F.G.: Quali sono i progetti futuri per studiare queste rovine? Ha avuto appoggi dalle autorità archeologiche locali?

W.M.T.: “Andremo senza dubbio avanti! Stiamo ricevendo la collaborazione di molti appassionati. Per il momento la spedizione è stata finanziata direttamente da noi. Non abbiamo avuto nessun contributo, questo è il motivo per cui abbiamo dovuto interrompere le ricerche. In futuro, spero, con più dati alla mano, potremo, come già stiamo facendo, sottoporre la ricerca al Museo di Storia Nazionale, che ha già mostrato grande interesse. Speriamo in cospicui finanziamenti che ci permettano di far luce su un periodo ignoto della nostra civiltà”.

F.G.: Grazie dottor Wen …W.M.T.: “Grazie a voi per aver nutrito tale interesse per la nostra scoperta” Dalle parole del dottor Wen si evince che c’è ancora molto da studiare, e ciò offre un’ampia possibilità di aggiungere nuove scoperte agli aspetti più enigmatici del nostro passato remoto. In questo senso la tecnologia moderna, con le sue ultrasensibili apparecchiature di rilevazione sta dando una mano ai tanti studiosi che si avventurano in un mondo, quello sommerso, capace di regalarci, forse, un sogno: la prova di una civiltà avanzata che ha preceduto la nostra. La prova che, in fondo, non siamo solo dei sognatori, e le rovine di Yonaguni lo attestano.

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LE ROVINE SOMMERSE DI YONAGUNI
Tutto cominciò il 9 luglio 1997 quando, nel sito americano della giornalista Laura Lee (http://www.lauralee.com/japan.htm) apparve una notizia curiosa: “Il mio amico Shun Daichi mi ha mandato dal Giappone sei foto di monumenti in pietra sottomarini. Non si tratta di piramidi in senso stretto, ma di rovine subacquee mostrate recentemente dalla televisione giapponese in un documentario. Sono sei strutture trovate al largo di Okinawa. Una è a Taiwan. Sono comunque tutte sotto il mare. Tutti i geologi coinvolti concordano sul fatto che queste strutture siano vecchie di dodicimila anni.”
La notizia terminava così, senza commenti e senza importanza. Ma ben pochi potevano immaginare il putiferio che essa avrebbe scatenato.
Fra i primi ad arrivare a Yonaguni in Giappone, lo studioso americano John Anthony West ed il geologo Robert Schoch; i due ricercatori che, nel volume di Robert Bauval “Il mistero di Orione”, si dicono convinti che la sfinge di Gizah sia anteriore alla civiltà egizia e dunque di origine atlantidea.
Stranamente proprio Schoch e West, dopo avere analizzato un primo costone roccioso, sagomato a piramide, scoperto nei fondali di Yonaguni (area di Okinawa) avevano sentenziato trattarsi semplicemente di strutture naturali, levigate dalle maree. Il 18 ottobre del 1997 lo studioso giapponese Shun Daichi replicava via Internet: “Schoch e West sbagliano”. Le rovine sono state studiate anche dal professor Kimura dell’università di Ryukyu; questi si è detto sicuro che esse siano artificiali. West cerca a tutti i costi l’Atlantide in Occidente, ma noi giapponesi siamo sicuri di quanto diciamo. Abbiamo studiato dettagliatamente il primo filmato delle rovine, realizzato da un sub professionista a nome Kihachiro Artake e, d’accordo con il geologo professor Ishii, dell’università di Tokyo, abbiamo concluso che le rovine siano artificiali.”
Alla fine ha avuto ragione il giapponese. E Schoch e West hanno subito uno smacco colossale il 14 marzo 1998, allorché in Internet sono comparse le immagini, registrate dalla televisione nipponica, di una successiva spedizione subacquea, che ha messo a nudo le rovine. Tra i ruderi che i due americani hanno frettolosamente liquidato come rocce sedimentarie è spuntata una scalinata, un basamento ed una sagoma che ricorda un tempio a gradoni o una piramide di stile Maya. Altro che scogli levigati!
Il mondo accademico si è interessato alla vicenda quando, sempre nel 1997, l’équipe di oceanografi diretta dal professor Masaki Kimura, geologo dell’Università Ryukyu di Okinawa, ha analizzato i resti di un’antica civiltà nelle acque dell’isola Yonaguni. Posti al largo del Mar della Cina, nello stretto che collega il Giappone a Formosa e sommersi a 25 metri sotto il livello del mare, rappresentano per gli scopritori la testimonianza di una civiltà vissuta oltre 10.000 anni fa. Le costruzioni, di enormi dimensioni, hanno suscitato eccitazione e sgomento nella comunità archeologica internazionale. Le caratteristiche architettoniche di quella che può essere considerata una colossale struttura, di grandezza paragonabile a quella della piramide di Cheope, sono accostabili alle costruzioni mesopotamiche chiamate Ziggurat, piramidi a gradoni, tipiche dell’area medio­orientale. In precedenza nessuno aveva fatto caso alla presenza di queste costruzioni ed il professar Kimura è stato il primo ad aver capito che la struttura non era opera della natura, bensì dell’uomo.
Teruaku Ishi, docente di geologia all’Università di Tokio, sostiene che la Piramide sommersa potrebbe risalire almeno all’ottomila a.C. Altri studiosi la retrodatano addirittura al 12.000 a.C.; come dire, più antica delle piramidi d’Egitto. La corrispondenza architettonica tra le strutture sommerse di Okinawa e i templi egiziani, mesopotamici e mesoamericani pone sul tavolo le argomentazioni che gli studiosi di paleoastronautica hanno sino ad oggi avanzato e che molti archeologi solo ora iniziano a prendere in considerazione: vale a dire la presenza di una civiltà planetaria molto evoluta, antecedente il diluvio, Atlantide o la leggendaria Mu, (oppure ciò che i giapponesi chiamano la mitica Onogorojima) della cui cultura pre­diluviana si trovano tracce nei monumenti megalitici sparsi un po’ ovunque nel mondo. Il fatto che la Piramide di Ryukyu sia posta sotto il livello delle acque è un indizio consistente del fatto che la civiltà che la eresse scomparve con il diluvio.
Che il Giappone facesse parte, migliaia di anni fa, di un antico impero scomparso, era già stato ipotizzato nel 1968 da W. Raymond Drake nel suo libro Spacemen in the Ancient East, in cui il Sol Levante viene inserito all’interno dei continente di Lemuria. Drake scrive che i primi coloni del Giappone erano uomini di razza bianca, custodi della conoscenza lemuriana. La bandiera del Sole nascente, simbolo dei Giappone, rappresenterebbe ancora il sacro simbolo di Lemuria. “Come gli lndù, i Cinesi e gli Egiziani, i Giapponesi hanno avuto ben dodici dinastie di imperatori divini ­ afferma Drake ­ che hanno regnato per 18.000 anni, suggerendo una dominazione di origine cosmica. Gli etnologi concordano sul fatto che i primi antenati dei Giapponesi erano uomini bianchi che soggiogarono gli autoctoni Ainu, oggi quasi dei tutto scomparsi, iniziando così la stirpe Yamato. Analisi linguistiche suggeriscono che la lingua giapponese ha affinità con il babilonese”. Ciò conferma che non sono i soli monumenti a fornire le tracce di una radice culturale comune di epoca antidiluviana tra le popolazioni dell’antichità.
Le piramidi e i templi egiziani, la piattaforma del tempio di Baalbek in Libano, le fondamenta del tempio di Gerusalemme, oggi visitabili dalla parte cristiana della città sacra presentano la stesse caratteristiche, da molti ricercatori addebitabili ad una cultura antecedente il diluvio, in un periodo compreso tra il 10.000 e il 15.000 a.C. Peculiarità incredibilmente presenti nelle mura di cinta del palazzo imperiale di Tokio, anch’esse formate da blocchi monolitici perfettamente incastrati l’uno nell’altro, come per le costruzioni inca e caratterizzate dalla medesima tecnica ingegneristica.

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About RANIERO RECUPERO

APPASSIONATO DI UFOLOGIA E DI ARCHEO MISTERI E DI TEMATICHE COME: TEMPLARISMO,ESOTERISMO,CIVILTA' PERDUTE, PARANORMALE,

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